Ci siamo abituati a pensare alle imprese di Stefano Palmieri, il 49enne golfista non vedente di Follonica, come a qualcosa di normale, quasi scontato. Ho scritto e sento parlare dei suoi successi nelle gare europee e mondiali nella categoria Blind e ora anche di quelli nelle gare di circolo. Come se ci dimenticassimo di quanto sia importante la vista nel gioco del golf e di come sia insostituibile questo senso, perso da Stefano nel 2002 a seguito di un incidente stradale e molto prima del suo incontro con il golf. Fate una prova, tirate il driver a occhi chiusi, difficilmente colpirete la palla o riuscirete a fare una buona distanza. Oppure puttate da venti metri avendo come unico riferimento la pendenza del green sotto le vostre scarpe e il numero di passi che vi separano dalla buca, sempre a occhi chiusi s’intende.
Io ho avuto la fortuna di seguire Stefano Palmieri nella sua gara, il Trofeo Amici di Stefano, sabato 7 agosto al Golf Club Toscana di Gavorrano, e ho ammirato un atleta vero, un giocatore dal comportamento ineccepibile, sempre positivo anche nei momenti di difficoltà, specialmente sul green. L’ho seguito in tutte le 18 buche per avere la conferma che non c’è niente di scontato in quello che Stefano è riuscito a realizzare. E che dobbiamo continuare a meravigliarci e ad ammirarlo per tutto quello che sta facendo e i progetti di miglioramento che è determinato a realizzare. Quasi sei ore in sua compagnia, a debita distanza per non intralciare il rapporto diretto con la sua guida Claudio Bargiani (nella foto con Stefano Palmieri), insieme ai suoi compagni di flight: un ragazzino svizzero di 11 anni con il padre, che hanno addirittura ritardato la loro partenza per avere l’opportunità di giocare con Stefano Palmieri, e Annalisa Valentini, moglie di Paolo Negroni proprietario del Riva Toscana (il circolo di Follonica prossimo all’apertura).
Sul suo campo, dove si allena spesso dalle 6 di mattina fino alle 9 insieme alla guida Claudio Bargiani (uno dei 5-6 amici che accompagnano Stefano in campo e nelle gare, ma il più assiduo negli ultimi tempi), Palmieri ha iniziato la gara con un par alla buca 1. Un drive a spaccare in due il fairway, come direbbe Silvio Grappasonni, ferro 7 da 120 metri a bordo green e due putt, il primo da 20 metri e il secondo da 4. Una buca da professionista, perché Stefano e la sua guida sono due veri professionisti per come preparano ogni colpo. La cura dei dettagli non è formale, non ci sono tic né superstizioni: ogni gesto, anche il più piccolo, ha la sua importanza e il suo senso. Impariamo a spogliare le nostre routine dalle nevrosi e dai movimenti inutili e concentriamoci sulle cose importanti. Quelle che servono a Stefano sono le stesse che servono a noi, solo attraverso percorsi diversi.
Sul tee shot Claudio mette Stefano nella direzione dell’obiettivo, gli fa prima trovare la zona vicina ai battitori dove si sente più in equilibrio, lo fa allontanare leggermente e gli fa provare due swing a vuoto, poi pianta il tee e avvicina il suo amico alla palla mettendo la faccia del driver in posizione. Non c’è più tempo da aspettare, è come una miccia che sta per consumarsi pochi attimi prima dell’esplosione: Claudio indietreggia pochi passi e Stefano scarica il suo swing con grande stabilità, frutto dei suoi allenamenti (nuoto, corsa e palestra) per perfezionare i movimenti. La stessa routine si ripete sui colpi con i ferri, anche questi molto potenti e precisi. I golfisti con l’handicap di Stefano (36 colpi al Pelagone) fanno spesso errori tecnici marchiani nel corso delle 18 buche, Stefano invece mi ha sorpreso per la continuità con cui riesce a giocare senza incorrere in colpi completamente sbagliati.
Sul green, dove tutti noi golfisti sappiamo come la buca diventi maledettamente piccola, la routine di Stefano inizia con una marcia fianco a fianco alla sua guida, uniti dal putter. Insieme contano i passi fino alla buca per valutare la forza da imprimere alla pallina, sentono la pendenza e si scambiano le informazioni. La guida posiziona la faccia del putter verso la direzione scelta e fa provare il movimento, poi mette Stefano sulla palla e orienta la faccia del bastone verso l’obiettivo. A quel punto il golfista-arciere scaglia la sua freccia. E se arriva l’errore va accettato, la routine riparte finché non arriva il rumore della palla imbucata.
In campo Stefano e la sua guida camminano fianco a fianco, accanto per chilometri e chilometri spesso uniti dal bastone con il quale è stato tirato l’ultimo colpo, prima che Claudio rimetta a posto l’attrezzo con grande cura e precisione. Loro due insieme, ad affrontare una sfida che sembra impossibile, ognuno di noi da solo. Ma con la propria parte amica che continua a incoraggiarci e vuole zittire la parte nemica, impegnata a convincerci che il nostro golf è un disastro e non vale la pena insistere. Invece no, vale la pena insistere. Ma se non ne siete convinti, andate a veder giocare Stefano Palmieri. E riscoprirete che il golf è uno sport meraviglioso.